mercoledì 27 maggio 2009


Ero cosciente di cosa mi aspettasse, non era la prima volta.
Arrivai davanti casa cercando il modo di rimandare quel momento.
Pensai a cos'altro ci fosse da fare, magari avrei dovuto comprare il latte, lavare l'auto o affittare un film. Mi limitai ad accendere una sigaretta da fumare seduto su di un muretto.
Magritte, che mi aveva scorto da lontano, mi era corso incontro e mentre tiravo nervosamente boccate di nicotina mi girava intorno alle gambe guardandomi perplesso. Sapeva che non ero solito aspettare tanto prima di aprire la porta.
Accennò un miagolio strozzato come a spronarmi, lo fissai e decisi di tirar fuori le chiavi di tasca.
Nello scendere le scale iniziai a sentire un nodo in gola, lo sapevo, lo aspettavo.
Presi coraggio ed aprii la porta. La casa era vuota, fredda, triste come non mai.
In realtà non era cambiato nulla, vivevo solo da anni e quella casa era sempre stata nelle medesime condizioni ma, in quel momento era vuota. Il mobilio, i vestiti accatastati, le ciotole dei gatti, i quadri, le macchie di umidità erano le stesse ma, in quel momento era vuota.
Sapevo benissimo cosa mancasse.
Dopo la sua partenza era arrivato il furgone delle delusioni della compagnia dei perdenti a caricare parole, baci, carezze, lacrime e risate che in quei due anni avevamo collezionato arredando la nostra unione.
C'era stato un trasloco di sentimenti che aveva lasciato un vuoto opprimente in casa e nell'anima.

2 commenti:

Silvano Bottaro ha detto...

Osservo un’utile e simpatica attività ultimamente in questo blog. Leggermente, leggermente frenetica, mi pare.
Mi piace, ma, piano piano Fausto, non vorrei ti stancassi troppo…
Un salutone :-)

fausto ha detto...

cerco di raggiungere una forma atta a soddisfare le pretese del "direttore" di dialetticon ;)
grazie caro!

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