martedì 26 maggio 2009


Fissavo i suoi occhi,
mi vedevo riflesso sulla sua rabbia, liquida, trasparente, pronta a traboccare in un pianto liberatorio. Le lacrime si affollavano sugli occhi senza venir giù, si trattenevano stipate sulle sue palpebre come adolescenti sotto il palco di un concerto rock ma, niente, non ci pensavano mimimanete a colare sul suo bel viso.
Sembrava non volesse concedermi la soddisfazione che, in realtà, non avrei mai provato.
Neanche una parola, entrambi temevamo potesse innescare un'emozione incontrollabile. L'arrivo del treno era imminente, la voce artificiale lo aveva appena annunciato.
Il piede ticchettava sospeso in modo nervoso, le mani le sudavano e a frequenze regolari arrivava un sospiro.
Il fischio sgradevole dei freni ruppe la bolla che ci aveva protetto dal resto della folla.
Tutti iniziarono a correre in direzione del vagone prescelto. Lei fece altrettanto.
Io questa volta non la seguii. Doverla accompagnare con lo sguardo finestrino dopo finestrino era straziante. Mi limitai ad aspettare che il treno ripartisse confidando in un guasto improvviso o nel tuffo di un suicida, nella caduta di un asteroide ,un cazzo di attentato, la fine del mondo!
Non la vidi più, mai più.
Ne fui consapevole già all'uscita dalla stazione.
Quell'ammasso presuntuoso di marmo bianco, voluto per l'arrivo di Hitler, faceva da sfondo all'ultima scena di quel fantastico film che avevo vissuto.
Mentre camminavo sul piazzale davanti alla stazione mi sembrò di sentire la colonna sonora che anticipa i titoli di coda.
Corsi in macchina e scappai prima di vedere arrivare la parola fine.

2 commenti:

suburbia ha detto...

Di solito prima c'e' un trasloco poi una partenza, :-)
Il fatto di non aver visto la fine e' come negarla in fondo.
Ciao

fausto ha detto...

la fine se non la vedi la senti...
ciao suby!

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