Giocava, palleggiava con il pallone, con il destro, il sinistro e lo sguardo fisso sulla sfera. Quando fosse iniziata la passione della sua vita non lo ricordava, forse ci era nato con quella palla , infatti chi lo conosceva da bimbo lo ricordava, magari diverso nell’aspetto ma, sempre accompagnato da quello che considerava più di un gioco. Io la prima volta che lo vidi era intento a raccontare al nonno le imprese della sua squadra del cuore che come al solito anche quella domenica lo aveva fatto soffrire oltremodo. Si, nonno Bruno probabilmente era stato l’artefice della passione di Francesco, gli raccontava delle gesta tecniche di Garrincha, Di Stefano, Pelè ed Eusebio come un critico d’arte potrebbe descrivere il tocco su tela di Vermeer piuttosto che di Rembrendt e, di ogni partita descritta di ogni goal romanzato lui ne aveva colto l’essenza. Io ebbi la fortuna di essergli amico fino al giorno in cui dovette partire per inseguire i suoi sogni e solo oggi al ritorno dall’ennesima impresa sportiva ho avuto la possibilità d’incontrarlo nuovamente.
“Francesco hai sempre sognato di essere un campione ed oggi ne hai avuto l’ennesima conferma, eri un predestinato lo abbiamo sempre saputo cosa vuoi ancora? Cos’altro sogni?”
“Sogno Bruno, mio nonno, ancora in vita intento a descrivere ai miei figli i goal più belli della mia carriera trasmettendo la stessa passione che io ho grazie a lui, descrivendogli l’odore del cuoio dei vecchi palloni, le gesta eroiche di un calcio fatto di sudore e lealtà, di donne intente a cucinare prima di una finalissima, di urla di gioia di bambini entusiasti della vittoria, di lacrime pure come la neve a seguito di una cocente sconfitta, delle maglie sudate e scambiate come fossero reliquie, del profumo dell’erba falciata dagli scarpini, del rumore prodotto dai tacchetti all’ingresso in campo ma, tutto questo….rimarrà solo un sogno”.
sabato 19 agosto 2006
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